
“Vogliamo combattere le malattie, iniziamo da quella più terribile di tutte: l’indifferenza.”
Esordisce così il medico Patch Adams, nell’omonimo film, nel discorso tenuto per difendersi nel processo in cui è imputato a causa del suo inconsueto metodo terapeutico. Il suo sguardo non permette alla malattia di diventare l’identità del paziente, cosa che è frequente nell’approccio che gli viene insegnato in università da molti professori, che preferiscono mantenere un distacco professionale.
Ma è davvero l’indifferenza l’atteggiamento che vogliamo avere davanti alle difficoltà?
Secondo Patch no. In tribunale infatti spiega cosa significhi il suo lavoro: “La missione di un medico non deve essere solo prevenire la morte ma anche migliorare la qualità della vita. Ecco perché, se si cura una malattia, si vince o si perde… se si cura una persona, vi garantisco che, in quel caso, si vince qualunque sia l’esito abbia la terapia.”
Un medico, anche il più competente ed appassionato, operando con indifferenza, finirà per rapportarsi solamente con il caso clinico, ma non con la persona. Basta limitarsi a questo? Egli ha davanti un’altra possibilità: oltre a curare può prendersi cura del paziente, avendo un’attenzione particolare verso di lui.
Questo lo abbiamo riscontrato anche nella serie televisiva DOC-nelle tue mani, dove il protagonista, il primario Andrea Fanti, in seguito ad un incidente che gli ha provocato un’amnesia di 12 anni, riscopre un diverso approccio verso il malato. Se prima predominava il distacco e l’empatia era vista solo come un ostacolo, adotta ora un metodo basato sulla creazione di un rapporto di fiducia con il paziente che parte dal chiamare il paziente per nome, interessarsi alla sua storia e dall’ascoltarlo per stabilire la diagnosi. Il suo atteggiamento contagia tutto il reparto, e porta alla creazione di un vero e proprio team. Questo ribaltamento è dato dal fatto che Doc, come viene soprannominato Andrea, si sia ritrovato ad essere un paziente in prima persona, scoprendo tutte le sue ferite e necessità. E’ grazie a questo che inizia a interessarsi sempre più a ciò che ha di fronte.
Il coinvolgimento di Doc con i pazienti, non nasce quindi da uno spirito buonista, ma, come spiega Enzo Piccinini, chirurgo bolognese, nasce “di schianto” dal riconoscimento di un comune bisogno e di una comune domanda. “La malattia, la sofferenza, il dolore e la morte sono l’espressione normale ma più acuta del limite dell’uomo […] Questa consapevolezza porta ad una capacità di rapporto altrimenti impossibile. Il senso del limite ti mette immediatamente insieme all’altro, anche se non è della tua idea, anche se non capisce e non ti guarda… perché anche tu come lui sei bisognoso.”
In quanto studentesse di medicina desideriamo avere la posizione che accomuna i tre medici quando saremo in reparto. E nel mentre? Enzo sottolinea come il punto di partenza sia la consapevolezza di un bisogno, che non emerge solo all’interno di un ospedale ma anche davanti allo studio, al lavoro e rapporti. Questo ci sfida a non rimanere indifferenti nelle situazioni quotidiane ma a vivere consci di questa necessità.