
“Non è la libertà che manca. Mancano uomini liberi.”
Così oltre mezzo secolo fa scriveva il giornalista Leo Longanesi al termine del regime fascista, cogliendo con tono sferzante una verità che vale anche ora: non serve a nulla una libertà teorica, idealizzata, non vissuta; la libertà va invece incarnata, realizzata tutti i giorni. Può rimanere un’idea o anche un diritto per cui combattere, ma in fondo resterebbe una pretesa dipendente dal giusto porsi delle circostanze, impossibile se si scontra con qualsiasi forma di potere.
L. Giussani spiega la dinamica del potere con queste parole: “Il suo grande sistema, il suo grande metodo è quello di addormentare, di anestetizzare, oppure, meglio ancora, di atrofizzare […] il cuore dell’uomo, le esigenze dell’uomo, i desideri […], quell’impeto senza confine che ha il cuore. E così cresce della gente limitata, conclusa, prigioniera, già mezzo cadavere, cioè impotente.”
Emerge quindi un’alternativa tra la sottomissione al potere che limita o un protagonismo che libera. Che cosa ci rende protagonisti della nostra vita? Che cosa ci rende liberi con noi stessi, di fronte all’evidenza dei nostri limiti e fragilità?
È la stessa domanda che si pone Marracash in “Nemesi”:
Sono il giocattolo rotto con cui gioca il mio doppio
Uno di noi è di troppo, come un sogno in un sogno
Tregua col nemico, cerco l’equilibrio
[…]
C’è un antidoto, spingi, sono in bilico
C’è un antidoto, spingi, sono in bilico
C’è un antidoto, spingi e sono libero
Sei mai stato libero? Forse sono libero
Qual è dunque quella spinta di cui abbiamo bisogno per riscoprirci liberi?
Francesco Zavatta, pittore riminese, fa un ulteriore passaggio; riferendosi ai suoi dipinti di attracchi per barche nei porti racconta:
“Durante la pandemia, ho cominciato a dipingere queste parti del porto, che ho sempre dipinto, concentrandomi sui pali immersi nell’acqua con queste corde che non sono altro che le corde delle barche che servono per attraccare nel porto. Mi sono concentrato su questi elementi: acqua, palo e corde. Volutamente più materico proprio perché per me questi pali sono delle presenze fisiche. Ad un certo punto mentre dipingevo, mi sono accorto che queste presenze sono qualcosa di vivo, mi sono chiesto: ‘Cos’è che mi sostiene ora? Cosa mi rende libero?’. Mi sono reso conto che di fronte alla situazione surreale in cui tutto era fermo, questi attracchi mi avevano provocato: ‘Francesco, ma tu a cosa ti aggrappi?’. E questo aggrappo, questo ‘a cosa guardi’, nasceva dallo slancio della corda che si attacca al palo, è lì che risiede lo slancio di attaccarsi a qualcosa.”
Francesco rivendica l’importanza dei legami nella propria vita, ma come la nostra libertà trova spazio nel rapporto con l’altro? Nei rapporti ci siamo mai chiesti se desideriamo che l’altro sia protagonista e libero invece che trattenuto da noi e da quello che definiamo amore?
È una provocazione grande quella che lancia XXXTENTACION in “Revenge”: il rapporto diventa una tomba o l’altro viene lasciato camminare?
I’ve dug two graves for us, my dear […]
And you thought that I would let it go and let you walk
Well, broken hearts break bones, so break up fast
And I don’t wanna let it go, so in my grave I’ll rot
(Ho scavato due fosse per noi, mia cara […] E tu pensavi che l’avrei lasciato andare e ti avrei lasciato camminare // Bene, i cuori infranti rompono le ossa, quindi lasciamoci in fretta // E non voglio lasciarlo andare, quindi nella mia tomba marcirò)
Di nuovo, cosa ci permette di essere liberi?
Scrivendo al Corriere della Sera, Julian Carrón risponde a questa domanda cercando di spiegare l’origine della strenua resistenza degli ucraini all’ invasione russa: è l’evidenza di un fattore umano che si è risvegliato come esigenza di giustizia di fronte a una realtà che minaccia di calpestarla. La nostra libertà come capacità di soddisfazione totale esiste, c’è, nel momento in cui emergono in noi le esigenze che ci costituiscono, ciò che ci definisce nel profondo: l’esigenza di vero, di bello, di giusto, di amare e di essere riamati. Questo è il “fattore umano”.
Questa è un’ipotesi che va guadagnata: per noi vale come riposta? Ciò che ci libera può essere assecondare questo fattore umano che ci rende irriducibili?
È l’irriducibilità di cui ha parlato Giovanni Paolo II alla XV Giornata Mondiale della Gioventù nel 2000: “In realtà, è Gesù che cercate quando sognate la felicità; è Lui che vi aspetta quando niente vi soddisfa di quello che trovate; è Lui la bellezza che tanto vi attrae; è Lui che vi provoca con quella sete di radicalità che non vi permette di adattarvi al compromesso; è Lui che vi spinge a deporre le maschere che rendono falsa la vita; è Lui che vi legge nel cuore le decisioni più vere che altri vorrebbero soffocare. È Gesù che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande, la volontà di seguire un ideale, il rifiuto di lasciarvi inghiottire dalla mediocrità, il coraggio di impegnarvi con umiltà e perseveranza per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna.”