
Quante volte durante una giornata ci ritroviamo a “fare tutto” scoprendoci alla fine insoddisfatti?
Ai nostri occhi scegliere tra le cose da fare è spesso visto come un limite, perché ci costringe a togliere del tempo a qualcosa per dedicarlo ad altro. Cadiamo allora nel tentativo di voler fare più cose possibili pur di non perderci nulla, ma poi abbiamo la percezione che ci scivoli tutto dalle mani.
Ci ritroviamo con la sensazione di sparire dietro ai programmi come se il nostro compito fosse quello di dover essere abili nel destreggiarci tra gli impegni per riuscire a stare al passo.
Nel Vangelo di Marco possiamo forse intuire la fonte di questa insoddisfazione: “Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero se poi perde la sua anima?”. Perdere la propria anima quindi è il punto centrale di quella classica insoddisfazione, a volte quasi tristezza, che ci ritroviamo addosso alla fine di una giornata piena di impegni ma vuota di senso. Dunque, facendo un passo in più, forse è proprio il “guadagnare la nostra anima” in quello che facciamo che ci permette invece di vivere a pieno i nostri impegni e di scoprire sempre di più ciò che ci costituisce.
Seneca, nel settimo libro del “De Brevitate vitae”, esponendoci la differenza tra il vivere e lo stare in vita, riprende così: “E così come puoi ritenere che abbia molto navigato uno che una violenta tempesta ha sorpreso fuori dal porto e lo ha sbattuto di qua e di là e lo ha fatto girare in tondo entro lo stesso spazio, in balia di venti che soffiano da direzioni opposte? Non ha navigato molto, ma è stato sballottato molto.”
Dunque una persona può averne passate tante ma se non ha imparato nulla da quel che gli è accaduto e non cercava niente mentre viveva, non può diventare un “navigatore esperto”. Perché l’esperienza in mare non dipende da quanto tempo ci sei stato, ma dal giudizio vero su ciò che stai vivendo. Quindi, non è il numero di cose portate a termine che determina la “soddisfazione” a fine giornata, ma il fatto di avere chiaro il significato di quello che si fa dando un giudizio. E questo giudizio è ciò che ci guida nelle scelte alle quali siamo sottoposti quotidianamente.
Sempre nel “De Brevitate Vitae” Lucilio domanda a Seneca su cosa basiamo le nostre scelte e soprattutto come facciamo ad usare bene il nostro tempo. E Seneca risponde così:
“Se vuoi sapere volta per volta che cosa evitare o che cosa ricercare, guarda al sommo bene, il fine supremo di tutta la tua vita. Ogni nostra azione vi si deve accordare: se uno non ha già disposto la propria vita nel suo complesso, non potrà deciderne i particolari. Nessuno, per quanto abbia pronti i colori, può fare un quadro somigliante, se non sa già che cosa vuol dipingere. Noi tutti decidiamo su singoli episodi della nostra vita, non sulla sua totalità e questo è il nostro errore.”
Per decidere su un particolare, dobbiamo decidere su tutto. Quindi la domanda non si riduce più a: “cosa devo fare oggi per spendere bene il mio tempo?”, ma si riempie invece di significato. Cosa sono? Per cosa do la mia vita? Per cosa vivo? Dunque bisogna avere chiara la meta più alta.
Allora, quando ci troviamo di fronte ad una scelta, banale o gigante che sia, questa può essere un richiamo. Indubbiamente scegliere implica assumersi dei rischi, in quanto c’è sempre qualcosa a cui siamo più o meno costretti a rinunciare. Davanti a questo, però, abbiamo la possibilità di conoscere piano piano il nostro desiderio più profondo, o per riprendere il Vangelo di Marco, la nostra anima. Allora questo rinunciare a qualcosa non è più un “di meno”, ma diventa invece il mezzo che ci viene dato per rimanere sempre più attaccati a ciò che in fondo ci costituisce.