
Potrei iniziare scusandomi con i lettori se sono monotematica e parto sempre parlando dei miei studi e del lavoro. Oppure potrei fare un’introduzione ad effetto, in medias res, quasi fosse un racconto e iniziare con una frase del tipo:
Sei mai stato ad Assisi? E qual è stato l’effetto, l’impatto, quando sei arrivato nella piazza davanti alla basilica? Hai voltato lo sguardo, ti sei distratto dalla conversazione e hai visto la facciata?
Semplice e spoglia; ma in una giornata primaverile, quando il colore della chiesa è abbracciato da un cielo azzurro intenso, io mi stupisco. Stupore: semplice ma bella.
Poseresti pietre su pietre per giorni per poi una mattina fare un passo indietro e scoprire di aver finito il lavoro, cioè quello splendido lavoro?
Come ho detto ci sono diversi modi in cui quest’articolo può essere scritto, ma l’ideale per chiarezza e sintesi è forse di partire dall’inizio. O meglio: dov’ero rimasta l’ultima volta.
Per chi lavoro?
Potrei benissimo fare un lavoro molto più semplice ed umile, dignitosamente retribuito, giusto da arrivare a fine mese, farmi un regalo ogni tanto e basta, no?
Perché dovrei faticare in un mestiere, studiare e poi cercare lavoro?
Sono disposta a lavorare mesi o su qualcosa di bello, oggettivamente bello, che chiunque lo veda ne comprenda la bellezza; oppure lavorare per un’utilità, quindi per fare qualcosa di necessario.
Parlo di quello che domattina potresti tirare fuori dall’armadio, perché in fondo dopo esserci alzati una delle prime cose che facciamo è vestirci. Realizzare quindi qualcosa che ti accompagni nella giornata e ti dia un po’ di comodità, sicurezza o quello che cerchi nel semplice gesto quotidiano di vestirti.
Due sono allora le domande: Cos’è la bellezza? E, oggi, cosa serve?
Non c’è nessuna pretesa di rispondere in un articolino a domande così grandi. Però senza dubbio la bellezza è collegata alla natura dell’uomo, perché tutti la riconosciamo. Inoltre, è strumento per raccontare, mezzo di un messaggio, un significato.
“Senza san Francesco, Giotto sarebbe stato Giotto?”
Deliverance, sfilata primavera estate 2004 di Alexander McQueen, racconta della sua difficoltà ad affrontare i tempi che il mondo della moda gli richiedevano, che richiedono un po’ a tutti quelli che ci lavorano. La sfilata tratta della frenesia e l’asfissia del suo lavoro, una critica a qualcosa (l’industria della moda) che lui amava. Sfacciata, faticosa e personale come tematica. Soprattutto personale, perché nelle sfilate McQueen raccontava di sé: le sue domande, le sue paure, i suoi dubbi.
Per quanto siano belli i capi da lui disegnati, principalmente mi colpisce il tema, perché era vero, nel 2004 come oggi, in Inghilterra, come in Francia, in Belgio, in Italia.
Valeva per lui, vale per me. Vale nel settore della moda, nella medicina, nell’economia.
Insomma: un tema per nulla banale, che lega così tanti individui diversi. Un messaggio di questa portata vale la fatica di lavorarci per mesi. E la bellezza cosa c’entra? Questo è più che altro qualcosa di doloroso, che ricorda di come il mondo non sia tutto rose e fiori. E lì si ferma. Punto.
Ma quel punto però perché raccontarcelo, diventerebbe solo un grido in un silenzio di indifferenza.
Ho bisogno di una ipotesi positiva. Altrimenti non sarebbe lavoro, ma piangersi addosso.
E, oggi, cosa serve?
“La bellezza è la grande necessità dell’uomo; è la radice dalla quale sorgono il tronco della nostra pace e i frutti della nostra speranza. La bellezza è anche rivelatrice di Dio perché, come Lui, l’opera bella è pura gratuità, invita alla libertà e strappa dall’egoismo.” Omelia di Benedetto XVI in occasione della Consacrazione della Sagrada Familia
Cos’è davvero la bellezza?
“La bellezza è lo splendore della verità; siccome l’arte è bellezza, senza verità non c’è arte.” Antonì Gaudì
Fine. Almeno per ora.