
Guardare la realtà in questo periodo coincide con il doversi scontrare con la durezza dell’invasione dell’Ucraina, che buca l’individualismo tranquillo in cui spesso siamo rinchiusi. Quando accade qualcosa di così duro e violento come questa guerra, ciascuna giornata viene investita da una forte esigenza di significato: che valore ha ciò che studiamo, ogni attività che facciamo, di fronte alla morte di queste persone? Qual è il senso del dolore che le persone che vediamo tutti i giorni provano? Perché il male e il potere sembrano così indissolubilmente legati, di nuovo e davanti ai nostri occhi? Queste domande sono vere sempre, ma le circostanze di questi giorni le rendono più stringenti.
Ciò che ci interessa è prima di tutto sfruttare gli spazi in università per porre e dare spazio a queste domande, che tante volte sono censurate nei contesti in cui viviamo, che riducono la realtà ad una semplice analisi dei fatti. E se proponiamo un dibattito pubblico, se incontriamo le persone, se organizziamo iniziative, lo facciamo per il desiderio di non barare rispetto alla profondità di queste domande. Anche i banchini di questi giorni in università nascono non solo come tentativo d’aiuto concreto nella raccolta di beni di prima necessità, ma anche come possibilità d’incontro con chi ha le nostre stesse domande di senso e la nostra stessa esigenza di non censurarle.
Sono molti i modi in cui possiamo contribuire: donando qualcosa alle raccolte fondi o a quelle alimentari e di beni di prima necessità; si possono anche compiere gesti più coraggiosi e impegnativi, come ci ha testimoniato un nostro amico partito per il confine tra Slovacchia e Ucraina per salvare alcuni profughi, ma il primo contributo offertoci da questa guerra e da non sprecare è innanzitutto questa presa di coscienza di sé, di ciò che desideriamo per la vita e del bisogno di trovare un significato alla realtà che ci circonda. Ciò che accade in Ucraina ci riguarda perché per
prima cosa ci interroga e ci responsabilizza sul modo in cui viviamo ogni giornata.
Se c’è una cosa di cui siamo certi è che il dolore della violenza e del male sono prima di tutto segno che noi desideriamo altro. Siamo fatti per il bene! Quante volte diamo per scontato questo nelle nostre giornate.
Poter prendere sul serio questo desiderio di bene, siamo convinti, è il contributo più prezioso e decisivo che la vita di ciascuno può dare al cambiamento della storia, la nostra, e la grande storia.
Il problema della pace si gioca, al netto di tutti i giochi di potere, su una domanda che tocca anche la nostra vita, la nostra quotidianità: come tornare a preferire il bene oggi? Come posso tornare a decidere di nuovo di preferire il bene, il bello?
Davanti alla facilità con cui anche noi ci troviamo ad agire pervasi da logiche parziali o da egoismo e comodo, non diversamente in fondo da Putin, è decisivo potersi sorprendere quando nella nostra esperienza esplode l’urgenza del bene fino a muoverci (e co-mmuoverci).
Viene in mente la grande figura dell’innominato di Manzoni. Chi avrebbe potuto mai dire che a far breccia nel cuore di quel potente fossero la certezza coraggiosa di una sua prigioniera (Lucia, la quale non si tira indietro per paura dal provocare il suo persecutore, nel dialogo che si chiude con la famosa frase «Dio perdona molte cose per un’opera di misericordia») e il popolo festante in pellegrinaggio visto il giorno dopo? Eppure proprio dentro quegli accenti di umanita ̀̀ vera il bene ha fatto breccia anche in quel cuore indurito:
Che diavolo hanno costoro? che c’è d’allegro in questo maledetto paese? dove va tutta quella canaglia? […] Guardava, guardava; e gli cresceva in cuore una piu ̀̀ che curiosita ̀̀ di saper cosa mai potesse comunicare un trasporto uguale a tanta gente diversa.Perché́ si “innescasse” in lui il cambiamento era necessario l’incontro con qualcuno, come Lucia, che gli rivelasse la prospettiva vera dell’attesa del proprio cuore; che gli “ricordasse” che in fondo veramente desidera il bene. È la stessa cosa oggi: soltanto l’incontro con presenze capaci di
A. Manzoni, I promessi sposi, cap. XXI.
cambiare il cuore di ciascuno di noi, rivelandoci la profondità d’attesa e l’infinito bisogno, generano nel tempo anche il cambiamento più vero della storia. Ricordando, come Lucia all’Innominato, che è la certezza di un più alto perdono a poterci far ridesiderare ogni volta il bene: “Dio perdona tante cose per un’opera di misericordia”.